a Annamaria


Bruno Saetti, Senza Titolo (Maternità), 1973

Bruno Saetti, Senza Titolo (Maternità), 1973

La poesia è l’unica prova concreta dell’ esistenza dell’uomo (Cardoza y Aragon)

Scrive Luis Cardoza y Aragon, uno scrittore guatemalteco, che la poesia è l’unica prova concreta dell’esistenza dell’uomo. Vi invito a rifletterci e a fare le vostre conclusioni. Di seguito le mie.

Mi capita di immaginare gli uomini come degli alberi, più o meno robusti per volontà e determinazione, più o meno ricchi di foglie per sentimenti e sensibilità. Ma se le foglie cadono continuamente e anche i rami si spezzano… cos’è la poesia? le radici del nostro spirito.

Alberi su cui si posano e da cui ripartono i nostri sentire. Come gli uccelli in volo s’alzano maestosi/ dispiegano le ali e volano via,/ disegnano cerchi e planano,/ così vorrebbero alzarsi gli uomini/ staccarsi da tutto/ trovare vie proprie e sperimentarle con calma.// Come gli uccelli atterrano sempre di nuovo/ ripiegano le ali, si posano a terra, cercano nutrimento/ esposti ai nemici e ai pericoli,/ così ritornano sempre gli uomini/ pronti/ ad affrontare la vita e le sue necessità (Margot Bickel).

Cos’è la poesia? Le radici del nostro spirito. Questa è l’unica cosa che mi sento di dire sulla poesia. Per il resto credo si possa qualcosa su quello che la poesia non è o almeno non credo che sia.

La poesia non è fantasia, estro, creatività, che sono solo aspetti secondari dell’efficacia espressiva, ma semmai immaginazione o, meglio, ingegno. Al tempo stesso la poesia non è (solo) sentimento, impulso, turbamento, che sono solo aspetti esteriori della coinvolgimento emotivo, ma semmai entità spirituale, in qualche modo divina, chissà –forse- un avatar.

La poesia non è bellezza e ancor meno ciò che di bello siamo, ma semmai è ciò che di bello non sappiamo di essere. Lo hanno scritto molti poeti, e lo scrive anche Tiziano Terzani (a dimostrazione che non c’è bisogno di scrivere poesie per essere poeti): Le montagne, come il mare, ricordano una misura di grandezza dalla quale l’uomo si sente ispirato, sollevato. Quella stessa grandezza è in ognuno di noi,ma lì ci è difficile riconoscerla .

E’ facile dimostrare come vi sia molta poesia nella prosa e come ciascuno sia poeta quando pensa in forma poetica, quando il suo pensiero diventa espressione dell’anima, e perciò esprime qualcosa di unico, di irripetibile. Occorre aprire se stessi, mente e cuore, per r-accogliere. Una metà della finestra s’è spalancata./ Una metà dell’anima s’è mostrata./ Su, apriamo anche l’altra metà,/ anche l’altra metà della finestra! (Marina Cvetaeva).

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Mi sfugge chi ha scritto che la poesia è il centro invisibile e -al tempo stesso- la periferia di tutte le cose: Se interpretiamo il centro come essenza; invisibile come fosse da intuire; periferia come atmosfera, la poesia non è la ricerca sgomenta di qualcosa che non si è capace di trovare (centro invisibile), e ancor meno il risultato di un involucro di parole belle o altisonanti: è tutto molto più difficile ma anche tutto molto più semplice. Metto alla prova il mio amore con la lentezza dei frutteti,/ contorno il mio presente con il silenzio (André Souris)

Centro-periferia, vicino-lontano, senza compromessi, senza futili eccezioni… Il poeta – da lontano conduce il discorso./ Il poeta – lontano conduce il discorso./ […] Poiché il cammino delle comete/ è il cammino dei poeti (Marina Cvetaeva).

Sappiamo bene che non si vive poesia, che non sempre ne abbiamo bisogno. Il dono di una poesia che ci coinvolge è una grazia che ci viene concessa solo ogni tanto, e forse per questo molto gradita. Perifrasando una frase di Neruda sull’amore: Perché la poesia (come l’amore), mentre la vita incalza, è semplicemente un’onda alta tra le onde. Un compromesso di parole, più che parole ben impiantate, da quelle cose indefinite alle non-parole. Speranza è la cosa piumata che si posa sull’anima,/ canta una melodia senza parole e mai si fermerà (Emily Dickinson)

Voci del silenzio laddove diventa importante ciò che non c’è bisogno di dire. Tu dormendo, io in veglia,/ facevamo lo stesso./ Non c’era da cercare:/ il tuo sogno era il mio.

O il silenzio delle voci possibili che continuiamo a cercare perché è impossibile che non ci siano. Per il poeta nulla è impossibile anzi l’impossibile è impoetico. Le parole diventano allora ermetiche ma solo perché risalgono la corrente verso l’essenziale. Cadono le deboli foglie, rimangono le solide radici con un processo inverso a quello della filosofia la quale parte da assiomi molto semplici (conosci te stesso, qui e adesso…) per poi… perdersi nelle foglie.

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Non dimenticare mai:/camminiamo sull’inferno/ guardando i fiori. Così recita un verso cinese. Scrive Ungaretti: L’esplorazione poetica è esplorazione di un personale continente d’inferno, e l’atto poetico, nel compiersi, provoca e libera, qualsiasi prezzo possa costare, il sentire che solo in poesia si può cercar e trovare libertà.

Una esplorazione poetica come un viaggio senza una raggiungibile meta, perché, come dice sempre Ungaretti, ci sono valori eterni che l’uomo non può conoscere perché su questa terra egli è semplicemente una entità chiusa nel tempo e quindi in grado di conoscere solo cose temporali che possono solo dargli un’idea di cose che superino il tempo.

Fernando Pessoa afferma in maniera provocatoria che Il poeta è un fingitore/ Finge tanto completamente/ Che giunge a fingere che è dolore/ Il dolore che davvero sente. Ma non si riferisce ai veri poeti che invece si interrogano continuamente su se stessi, anche se non c’è risposta o è il Nulla a rispondere, come in questa lirica cinese: Tutta la notte non potei dormire/ per il chiaro di luna sul mio letto;/ udivo sempre una voce chiamare,/ dal Nulla il Nulla rispondeva “sì”.

Un senso di vuoto che tuttavia è l’inizio di una rigenerazione (il Nulla risponde sì):Questa sera seduto sul bordo del crepuscolo/ Con i piedi dondolanti sulle onde/ Guarderò scendere la notte: si crederà tutta sola/ E il mio cuore mi dirà: fai di me qualcosa/ Affinché io senta che sono sempre il tuo cuore.

Domande e risposte sottese a un filo sempre in tensione: Risposte che non sono conclusive ma semmai apertura di nuovi messaggi: Questo è il tuo destino: viverti./ Non devi fare nulla./ La tua opera sei tu, niente altro (Pedro Salinas).

E se non puoi/ la vita che desideri/ cerca almeno questo/ per quanto sta in te:/ non sciuparla nel troppo/ commercio con la gente/ con troppe parole/ in un viavai frenetico./ Non sciuparla portandola in giro/ in balìa del quotidiano/ gioco balordo degli incontri/ e degli inviti,/ fino a farne/ una stucchevole estranea (C. Kavakis).

Troppe domande per poche risposte fanno del poeta forse un melanconico ma mai un triste, almeno quando nella tristezza egli cerca la speranza o almeno la rassegnazione. Vivere è scegliere le umili melodie senza strepiti e spari/ scendere verso l’autunno e non stancarsi d’amare (Angelo M. Ripellino). Anche Ungaretti in una intervista: Non so se sono stato un vero poeta, ma so di essere stato un uomo perché ho molto amato e molto sofferto, ho molto errato e ho saputo riconoscere il mio errore, ma non ho odiato mai.

Avviandoci alla conclusione di queste brevi note vorrei fare una considerazione personale su come la poesia sia penalizzata dal punto vista culturale in quanto collegata in molti casi alla bellezza formale e al sentimentalismo. La poesia è invece una forza primitiva dell’uomo. Chi sa apprezzare la poesia sa diventare forte della sua debolezza e non ha più paura. Alla affermazione vigorosa con cui abbiamo iniziato questo speech vorrei in conclusione contrapporre un’altra affermazione altrettanto forte: chi, come il poeta, sente l’eternità è al di sopra di ogni paura (Rilke).