l periodo natalizio non è solo un’occasione felice di gioire con gli altri. Talora lo è anche di soffrire con gli altri o di verificare la propria solitudine. In un bel passo Rilke afferma: Non credere che chi ora cerca di aiutarti viva senza problemi fra le parole semplici e tranquille che talvolta ti danno sollievo. La sua vita è piena di difficoltà e tristezza e resta lontanissima dalla tua. Se non fosse così, non sarebbe mai stato capace di trovare quelle parole. Nel brano di Lettere ad un giovane poeta che riportiamo, Rilke affronta il problema della solitudine in maniera ispirata ed attuale.
Le feste natalizie portano la solitudine come un fardello più pesante che mai. Ma se poi ti accorgi che essa è grande, rallegratene perché, chiediti, cosa sarebbe mai una solitudine senza grandezza; la solitudine è una, è grande e non facile a portarsi, e a quasi tutti giungono le ore in cui volentieri la baratterebbero con una qualunque sia pur banale e vile comunione, con la parvenza di una modesta concordia con il primo venuto… Ma forse sono proprio quelle le ore in cui la solitudine cresce; poiché la sua crescita è dolorosa come quella dei fanciulli e malinconica come l’inizio delle primavere.
Ma non lasciarti turbare da questo. Necessaria è un cosa sola: una grande solitudine interiore. Volgere lo sguardo dentro di se e per ore non incontrare nessuno: questo bisogna saper ottenere. Essere soli come quando eravamo soli da bambini, quando gli adulti andavano e venivano, compresi di cose che parevano importanti e grandi perché i grandi sembravano tanto affaccendati, e perché del loro agire non capivamo nulla.
E quando un giorno ci si accorge che le loro occupazioni sono misere, le loro professioni impietrite e senza più legami con la vita, perché allora non continuare a guardarli con occhi da bambino, come estranei, dalla profondità del proprio mondo, dalla vastità della propria solitudine, che è anch’essa impegnativa? Perché voler scambiare la saggia incomprensione di un bambino con il rifiuto ed il disprezzo, se incomprensione è solitudine, e rifiuto e disprezzo invece adesione a quelle cose che in quel modo si vuole abbandonare?
Pensa, mio caro, al mondo che rechi in te, e chiama quel pensiero come vuoi; sia esso ricordo della propria infanzia, o nostalgia del proprio futuro, solo presta attenzione a quello che in te si va destando, e ponilo al di sopra di tutto ciò che noti intorno a te. Le tue più intime vicende meritano tutto il tuo amore, a esse devi in qualche modo lavorare, senza perdere troppo tempo e troppo animo a chiarire la tua posizione verso gli uomini. Chi ti dice del resto che tu ne abbia una? Lo so, il tuo mestiere è duro e pieno di contrasti; posso solo consigliarti di riflettere se non siano così tutti i mestieri, pieni di pretese, pieni di ostilità verso il singolo, come imbevuti dell’odio di coloro che muti ed arcigni si sono conformati al frigido dovere. La condizione in cui tu ora devi vivere non è più gravemente oppressa da convenzioni, pregiudizi e guasti di ogni altro stato, e se alcune ve ne sono che ostentano maggiore libertà, pure nessuna è in sé vasta e spaziosa e in relazione con le grandi cose di cui è fatta la vera vita. Solo il singolo, che è solitario, obbedisce come una cosa alle leggi profonde, e se esce nel mattino che sorge o guarda fuori nella sera, piena di eventi, e sente cosa vi si compie, allora ogni condizione si stacca da lui come da un morto, pur essendo egli circondato dalla vita.
Quello che ognuno deve ora vivere nel suo mestiere, lo avrebbe provato in modo analogo in ogni altra professione; e se anche, estraneo ad ogni mestiere, avessi cercato con la società un contatto lieve e libero, quel sentimento di angustia non ti sarebbe stato risparmiato. E’ così ovunque, ma non è motivo di angoscia e di tristezza; se non vi è comunione tra gli uomini e noi, cerchiamo di stare vicino alle cose, ed esse non ci abbandoneranno; ancora vi sono le notti e i venti, che soffiano tra gli alberi e su molti paesi; ancora, tra le cose e gli animali, tutto è pieno di eventi, ai quali ci è concesso aver parte; e i bambini sono ancora come noi siamo stati da bambini, così tristi e felici, e se pensiamo alla nostra infanzia ritorniamo a vivere tra loro, tra i bambini solitari,e gli adulti non sono nulla, e la loro dignità non ha valore.
P.S. In parte è quanto ritroviamo anche nelle parole del Manzoni: Occupati dei guai, dei problemi del tuo prossimo. Prenditi a cuore gli affanni, le esigenze di chi ti sta vicino. Regala agli altri la luce che non hai, la forza che non possiedi, la speranza che senti vacillare in te, la fiducia di cui sei privo, illuminali dal tuo buio, arricchiscili con la tua povertà.
Regala un sorriso quando hai voglia di piangere, produci serenità dalla tempesta che hai dentro. Ecco, quello che non ho te lo do, questo è il tuo paradosso. Ti accorgerai che la gioia a poco a poco entrerà in te, invaderà il tuo essere, diventerà veramente tua nella misura in cui l’avrai regalata agli altri.