CAREZZA NON E’ UNA PAROLA (10) La metafora della carezza costruisce la pace


Angèle Etundi Essambla, Voyage ver l'infini, 1984

Angèle Etundi Essambla, Voyage ver l’infini, 1984

In precedenza:  (1) Quando la mano si fa voce (2) La carezza è risveglio dei sensi – (3) Non sempre le parole riescono a raggiungerci – (4) Per il bambino la carezza è formazione – (5) Il nostro Io pensante emerge attraverso la pelle – (6) La carezza ci conduce all’idea dell’infinito – (7) La carezza è apertura mentale alle singolarità dell’altro – (8) La carezza è memoria impressa nel tempo – (9) La carezza è naturalezza che scorre fluida. A seguire:  (11) Senza carezze viene meno la speranza – (12) La carezza lotta contro l’indifferenza.

La carezza è tale se non è un gesto distratto ma con un significato. A livello sociale essa rappresenta una metafora della volontà di costruire la pace. Nulla a che vedere con il buonismo, talora persino pericoloso e colpevole, né con la bontà d’animo di chi crede, forse un po’ troppo, negli ideali. L’attitudine alla carezza educa a desiderare di ricevere dall’altro, considerando che i propri modi di essere e di pensare non sono i soli esistenti, ma si può accettare di imparare, relativizzando i propri comportamenti. E’ un relativismo culturale che esclude a priori ciò che è altro ma vuole imparare la cultura degli altri senza necessariamente misurarla sulla propria. A che scopo? Come nell’esperienza della carezza, che non prende e non chiede ma si apre all’invisibile, aprirci agli altri ci aiuta a comprendere meglio noi stessi, rinunciando a ciò che in noi consideriamo assoluto. In tal modo quelli che sono limiti all’incontro possono diventare risorse per l’incontro stesso. Questa riscoperta di noi stessi attraverso l’altro, vincendo soprattutto la paura del rischio identitario, fa dire a Edmond Jabes “Lo straniero ti permette di essere te stesso facendo di te uno straniero”.

La carezza è riconoscimento per chi è diverso, lo sconosciuto, lo straniero, suscitato dalla nostra volontà di accoglierlo. Gli sconosciuti spesso non ci ispirano tenerezza, abitano con noi ma non tra di noi e rimangono comunque al di fuori di noi, ma diventiamo capaci di ascoltare e di voler comprendere la legittimità dello loro verità anche se non equivalgono alle nostre.

La carezza è fiducia per coloro che invece conosciamo, che dipendono da noi o di cui ci prendiamo cura, verso i quali abbiamo un dovere istituzionale, educativo o operativo: “Meglio mille atti di virile fiducia e una carezza piuttosto che mille carezze e un atto di sfiducia”, diceva a riguardo il pedagogista (pacifista) Aldo Capitini.

Nella famiglia come nella società, l’educazione alla pace, alla cittadinanza, alla responsabilità hanno bisogno di persone capaci di ascolto nelle loro azioni, nelle loro modalità di relazione, nella costruzione di un pensiero consapevolmente e responsabilmente situazionale, come una mano distesa che accarezza e non pretende di afferrare.

Nei versi di Michele Illiceto, filosofo prestato alla poesia, leggiamo: “La carezza libera le mani dalla propria prigionia./ Nelle tue mani, le mie./ Nelle mie, le tue./ Nelle nostre, le mani di ogni uomo/ in cerca di carezza./ La carezza permette alle mani/ di portare nel corpo la pace,/ smascherando la violenza/ come forma inutile di relazione./ Perché la vera pace inizia da dentro di me,/ dal mio corpo./ La carezza riconcilia il mio corpo/ con la propria forma./ E’ in essa e con essa/ che il mio corpo ritrova/ la propria forma originaria./ Le mani sono come le porte dell’anima./ Soltanto l’amore libera le tue mani/ dalla paura di dover perdere ciò che donerai”. Forse non è condivisibile la necessità di un vero e proprio amore, ma sicuramente quella di “liberare le proprie mani dalla paura”. La libertà è infatti il concetto che maggiormente si avvicina a quello di democrazia e di pace.

 

CARESS IT’S NOT JUST A WORD
(10)
Caress as metaphor builds peace

Before: (1) When the hand becomes word – (2) The caress is an awakening of the senses – (3) Words cannot always reach us – (4) For the child a caress is development – (5) Our thinking Ego emerges through the skin – (6) The caress leads us to the concept of the infinite – (7) The caress is a mental aperture towards the uniqueness of the other – (8) The caress is memory imprinted in time – (9) A caress is spontaneity unrestrained. To follow:  – (11) Hope dies without caresses – (12) The caress fights indifference

A caress in the full sense of its meaning, must be more than simply a distracted gesture. On a social level it is a metaphor of the will to build peace. It has nothing to do with buonismo (an appeasing attitude, a sort of goodie goodie approach) which can be dangerous and faulty, or with the generous turn of mind of those who are excessively idealistic. The propensity for caresses makes us want to receive from others. Since our ways of being and thinking are not the only ones we can be willing to learn and relativize our behavior. Cultural relativism of this kind excludes a priori what is other but wants to learn the culture of the others without necessarily comparing it with our own. What for? As with the caress, which neither takes nor makes demands but opens itself to the invisible, opening ourselves to the others helps us understand ourselves better, renouncing what we consider absolute in ourselves. Limits to an encounter can thus become resources for the encounter itself. This rediscovery of ourselves through the other, overcoming above all the fear of an identitarian risk, is what Edmond Jabes means when he says “The stranger permits you to be yourself, while transforming you into a stranger. “

For those who are different, the outsider, the stranger, the caress is an act of recognition, a sign of our will to accept him. We often find it difficult to empathize with outsiders. They live with but not among us and remain outside us. We can learn to listen and to understand the legitimacy of their truths even if they differ from ours.

On the other hand the caress is trust for those we know, who depend on us or of whom we take care, towards whom we have an institutional, educational or working obligation: “Better a thousand acts of virile trust and a caress than a thousand caresses and one act of distrust”, in the words of the pedagogue (pacifist) Aldo Capitini.

In the family as in society, education for peace, citizenship and responsibility is in need of people who can listen in their actions, their ways of relating, the construction of a thought knowingly and responsibly situational, like a hand that reaches out to caress with no pretentions of grasping.

In the poem by Michele Illiceto, a philosopher poet, we read: “The caress frees the hands from their prison. / In your hands, mine. / In my hands, yours. / In ours, the hands of every man / in search of a caress. / The caress lets hands/ bring peace to the body, / revealing violence/ as a useless form of relationship. / For true peace begins within me, / within my body. / The caress reconciles my body/ with its form. / It is in it and with it/ that my body finds/ its original form. / The hands are the gateways of the soul. / Only love frees your hands/ from the fear of having to lose what you give”. Perhaps we may not share the need for a real love, but we surely need to “free our hands from fear”. Freedom is indeed the concept that comes closest to that of democracy and peace.