IMPOSSIBLE EST IMPOETIQUE !


Nicolas Zadounaisky, Impossible est impoetique, 2005 ca.

Nicolas Zadounaisky, Impossible est impoetique, 2005 ca.

ARTE COME VITA (E TERAPIA)  IN ALCUNE CONSIDERAZIONI AUTOREFERENZIALI

Ti avevo spedito una cartolina con la riproduzione di un’opera di Nicolas Zadounaisky in cui si legge “impossibl’est impoétique”. Mi hai risposto scrivendomi che Alda Merini aveva detto che “il poeta è sempre lontano dall’impossibile”. In che senso, prima o oltre? Immagino oltre, e poi perchè solo il poeta? E allora Martin Luther King, Nelson Mandela e quelli che avevano creduto nell’impossibile? Ma soprattutto una frase attribuita a Che Guevara: “Siate ragionevoli, chiedete l’impossibile”. Non è solo il mio cuore ad infiammarsi per quelle parole di sapore rivoluzionario. L’impossibile che entra nel campo di una ragione possibile, ecco l’ideale.

Quando c’incontrammo parlammo di quella arte che decostruisce il linguaggio riconducendolo ad un insieme di lettere e di segni, un sorta di disfacimento della forma, trasformata, o meglio ‘contaminata’, in poliscrittura. Con quale componente artistica? chiedevo. Si stabiliva una qualche connessione tra le parole e il pensiero -dicevi- e poi quel particolare grafismo diveniva un marchio identificativo dell’artista.

Ma anche abbiamo ripreso il discorso che più ci interessava: l’impossibile in molte altre sue definizioni, tutte diverse ma nessuna di loro in contraddizione: l’impossibile è sempre una sfida, l’impossibile è solo un’opinione, l’impossibile non è per sempre, solo se pensi che una cosa sia impossibile, lo diventerà.

Più avanti anch’io ho fatto un goffo esperimento di grafismo con una sovraimpressione sopra la riproduzione di un dipinto astratto di Kandinsky “Lontano da un presente possibile, vicino ad un futuro impossibile”. Avevamo capito insieme, o forse tu l’avevi già capito prima, che “l’impossibile è vivere un’idea come se fosse possibile. ” L’aveva detto Goethe nel Faust, ma noi a ‘vivere’ abbiamo aggiunto “fino in fondo”. Giungere fino in fondo (ma un fondo c’è?) significa dare un senso, ammorbidire gli ostacoli, sfumare i confini. Il “senso” è l’ideale stesso, come per l’innamoramento che “dà un senso, sempre, ovunque, a proposito di niente, ed è proprio il senso che lo fa fremere, egli si trova nel braciere del senso”. 

Quella volta che ti ho fatta questa citazione di Barthes tu hai taciuto, in uno di quei tuoi momenti in cui volevi che il silenzio riempisse i pensieri di sentimento.  Creare le pause, come spazi dove lasciare che avvenga l’onda d’urto, la reazione chimica, la decompressione necessarie all’innesco del motore del pensiero. E poi di nuovo ripartire, vagare, vagheggiare con mutevolezza perpetua, trascendere…  La trascendenza dell’impossibile che si ricollega all’estro dei poeti ma anche alla mistica dei santi o, chissà, alla filosofia, alla fisica quantistica… Come pervasi da quella trascendenza autoreferenziata, ci sentivano poeti e santi allo stesso tempo.

Muzio Mercuzio, I frutteti sanno attendere, 2013.