La cosa di cui ho più paura è la paura, scrive Michel Montaigne. Al di là di quello che potrebbe essere un gioco di parole, la frase è attuale e fa parte dell’esperienza di ognuno.
La paura è ormai una protagonista della nostra vita ed anche il coraggio non è una virtù in sè ma esiste in funzione della paura, come scrive Oscar Wilde: il coraggio è la resistenza alla paura, il dominio della paura, non la mancanza della paura.
Un certo timore, ossia un sentimento di inquietudine eccitato nell’anima dall’idea di un male che si teme e di cui si esagerano le conseguenze, può essere giustificato perché deriva più propriamente da un certo ragionamento. La paura invece, che talora sfocia nel terrore, procede piuttosto dall’immaginazione ed è talora fatta di nulla, o almeno eccitata dall’ignoto.
La principale paura è infatti per quei mali che potremmo definire immaginari. Un uomo che teme di soffrire, soffre già per quello che teme. E quel che peggio, sembra che quel che temiamo più di ogni cosa, senza un motivo reale, tanto che sembriamo ossessionati da idee fisse, ha una profonda tendenza a succedere realmente. Insomma, sembra che la troppa paura dei pericoli, fa che spesso vi cadiamo.
Talvolta stiamo veramente male ancora prima ancora di averne un valido motivo. In maniera epica il genio di Shakespeare scrive che i paurosi muoiono molte volte prima di morire, mentre i coraggiosi muoiono una volta sola.
In generale bisognerebbe avere una visione realistica delle cose, come afferma Tolstoi: E’ coraggioso colui che teme quel che deve temersi e non teme quel che non deve temersi. Convengo che ciò sia più facile a dirsi che non ad attuarsi, ma se anche non riusciamo ad essere realistici, cerchiamo almeno di evitare di essere pessimisti; infatti la paura è sempre disposta a vedere le cose sempre più brutte di quello che sono e, dice un aforisma, noi crediamo a quel che temiamo, ancor più che a quello che desideriamo.
Naturalmente non esistono solo i pericoli immaginari, ma anche quelli reali, e la paura può essere un fondato timore. Non bisognerebbe per questo scoraggiarsi ma affrontare la situazione: molte cose non vengono osate perché sembrano difficili; molte sembrano difficili soltanto perché non vengono osate (Ugo von Hofmannsthal).
Il coraggio non si può simulare, perché è una virtù che sfugge all’ipocrisia. Spesso cerchiamo di vincere i nostri timori con la rassegnazione, o almeno gli altri ci convincono a farlo con espressioni generiche. Stendhal definisce la rassegnazione una specie di coraggio ridicolo, il coraggio di uno sciocco che si lascia prendere senza dir parola.
Oppure cerchiamo di contrabbandare la nostra vigliaccheria come un atteggiamento di prudenza. Si tratta in tal caso -è ovvio- della prudenza della talpa che cerca di nascondersi. La vera prudenza, definita come una virtù, è la prudenza dell’aquila che consiste nel seguire coraggiosamente il proprio carattere accettando impassibile gli inconvenienti che ne possono derivare. Invece è noto che il pauroso si dice prudente così come l’avaro si autodefinisce parco.
Infine la paura non deve cercare un effimero sostegno nella compiacente comprensione degli altri, ma è in noi che deve trovare i motivi di essere superata. E’ in noi che dobbiamo trovare le forze per reagire e questo credo debba essere fatto non solamente con la volontà ma soprattutto con la speranza, come sostiene molto profondamente Spinoza: la paura non può essere senza speranza, né la speranza senza paura.
Ecco allora che la nostra paura, guidata dalla speranza diventa al tempo stesso coraggio e capacità di reagire. Potremmo concludere con la bellissima espressione di Beltrand Russel: vincere la paura è l’inizio della saggezza. Pensiamoci un pò su.