ARTE COME VITA (E TERAPIA) IN ALCUNE CONSIDERAZIONI AUTOREFERENZIALI
S: Prima ancora che tu mi aprissi questi piccoli cassetti con i loro minuscoli oggetti, avevo già intravisto, o creduto di intravedere, male e alla rinfusa, ma abbastanza per fissarne l’impressione, alcuni dei tuoi cassetti interni. E avrei voluto vivere racchiusa in uno di quei cassetti: quello che custodisce le cose per te più preziose.
M: Nel disegno di Dalì (I cassetti della memoria, o Venere di Milo con cassetti) una differenza con quel lontano episodio è costituita dal fatto che qui i cassetti sono già aperti, senza per questo poterne osservare il contenuto: perché per poter vedere non è sufficiente né indispensabile che le cose siano alla nostra portata.
S: L’apertura di un cassetto non è un’operazione priva di pericoli: si può rischiare di trovarvi un vuoto sconcertante, la proiezione di un tormentato desiderio, o il riflesso di un’immagine che non avremmo voluto esistesse, o la prova del fatto che chi sostiene di amare la poesia si lascia, forse spesso, sedurre dal prosaico. E una gamma infinita di altre potenzialità.
M: Hai ragione: falsificare è più definitivo di verificare: ma senza assiomi di base nè verifiche, non è possibile alcuna forma di progresso. Perché falsificare è, nella prassi, un nulla di fatto, un procedere per successive esclusioni, che ci indica cosa non dobbiamo fare ma che si astiene dal proporci possibili, potenziali percorribilità.
S: Rimandavi sempre con abbracci elettronici che non mi piacciono, neppure in senso fonetico. Li sento asettici e spoetizzanti, meccanici. Ma forse è questo che vuoi, rimandare nel tempo. Almeno da me che avevo e avrei bisogno di una dolce e affettuosa terapia, piena solo di te. Il tempo, diceva Montanelli, è l’unica medicina che non è sintetica: per fare i secoli ci vogliono i secoli. Ma c’è un’altra medicina, più tempestiva ed efficace del tempo, a non essere sintetica: che, a differenza del tempo, non si fa da sola; per la quale occorre la collaborazione, attiva e intenzionale, delle parti. Forse per questo Montanelli, da buon realista, non l’ha nominata. Ma non voglio rischiare di crearti né di crearmi imbarazzi. Così parlerò, con te, solo di immagini: a te forse interessano; a me piacciono e mi divertono quando, per loro tramite, mi scopro a pensare cose che non avrei creduto di poter pensare con quelle particolari accezioni, con quelle certe implicazioni…
M: E’ vero. I cassetti della memoria creano un andirivieni di pensieri che può sembrare contraddittorio: è la troppa differenza che c’è tra quello che si sa e quello che si sente.
S: E poi, forse, ci riconosci un’aria familiare: è un pò come fai tu: creare l’illusione di un movimento che la dimensione temporale riconduce all’immobilismo. E’ davvero strano: mi chiedo ancora se per me tu ci sei mai stato. Allora perchè mi manchi?
Muzio Mercuzio, I frutteti sanno attendere, 2013.