L’immaginario della donna di fronte al proprio corpo è molto complesso, ma si può affermare che gli aspetti più ricorrenti sono quelli relativi alla bellezza e alla fertilità. Soprattutto nelle donne giovani, bellezza e fertilità sono entrambe minacciate dalla malattia tumorale, una esperienza intensamente vissuta a livello personale che deve oltretutto confrontarsi con gli aspetti sociali.
In passato, il significato attribuito alla bellezza e alla fertilità femminile, per quanto solo raramente interpretasse il sentimento delle donne nei confronti di se stesse, era culturalmente uniforme e storicamente conforme. Più di recente sono avvenuti cambiamenti più rispettosi del ruolo femminile, ma talmente veloci e diversificati da renderne la condivisione e l’interpretazione alquanto articolata.
Se, ad esempio, per quanto riguarda la bellezza consideriamo il significato attribuito al seno, troviamo che solo recentemente, e a più voci, le donne hanno cominciato a parlare apertamente del loro seno. Hanno espresso distintamente l’orgoglio imbarazzato delle adolescenti, i piaceri sensuali della donna adulta, la gioia della madre che allatta, le angosce delle pazienti con tumore al seno, la determinazione delle donne attive sulla salute, l’estro dei disegnatori di intimo di fronte alle continue richieste delle consumatrici, le donne con seni grandi che li vorrebbero più piccoli, quelle con seni piccoli che li vorrebbero più grandi. Il modo nel quale una donna guarda il suo seno è un buon indicatore del suo grado di autostima ed anche della condizione sociale della donna in generale. Visto dal di fuori il seno rappresenta tuttavia un’altra realtà, diversa per ogni persona che ne viene coinvolta. I bambini vedono il nutrimento. Gli uomini vedono il piacere. I medici vedono la malattia. Gli economisti vedono gli affari. Le autorità religiose trasformano il seno in simbolo spirituale. I politici se ne appropriano per motivi sociali. Gli psicoanalisti li pongono al centro dell’inconscio come se fossero delle pietre miliari sempre uguali (Marilyn Yalom 1).
La società contemporanea riconosce la malattia tumorale come realtà collettiva che non può essere ignorata (Fig. 1), ma di fatto non dimostra di accettarla in tutte le sue implicazioni per vari motivi, non tutti obbiettivamente rivelati, non tutti egualmente rappresentati.
Per quanto la società moderna faccia continui riferimenti alla salute, certamente molto più che in passato, i messaggi sconfinano spesso in un generico salutismo che fa leva sul giovanilismo e che per lo più rifugge da qualunque situazione che richiami sia pure lontanamente i fantasmi della malattia e, più di tutto, della morte.
Anche nei confronti della donna l’immaginario collettivo punta soprattutto, come è comprensibile, sulla bellezza e sulla forma limitandosi quasi sempre all’aspetto estetico e tenendo relativo conto delle motivazioni psicologiche. Eppure la chirurgia plastica non ha una competenza illimitata perché fa riferimento solamente alle apparenze. Quando una donna sta male nella sua pelle, non serve a nulla voler mettere nei suoi seni qualcosa d’altro. Non esiste un chirurgo capace di dare charme o di modificare uno sguardo2.
Al di là dei contesti sociali e culturali occorre considerare che di fronte alla malattia si palesa una estrema variabilità individuale, a significare come la bellezza (per esempio del seno) e la fertilità siano estremamente ricche di simbolismi più o meno manifesti la cui completa conoscenza è ancora un difficile obbiettivo.
A semplice dimostrazione di ciò, non ci deve stupire che qualche donna, sia pure giovane ed attraente, rifiuta un intervento di ricostruzione mammaria3 dopo mastectomia, così come non deve meravigliare la richiesta talora ostinata di una gravidanza anche in presenza di malattia.
Di seguito, alcune mie considerazioni sulle implicazioni psicologiche relative agli interventi per patologia mammaria che, in quanto medico maschio, mi è d’obbligo specificare come on women’s behalf ma seen by a male’s point of view.
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La ricostruzione mammaria viene considerata una mastectomia all’inverso, ossia ne neutralizza gli effetti distruttivi, non solo fisici ma anche psicologici, con un’azione molto più efficace se effettuata al momento del danno (Fig. 2).
Ugualmente si può affermare che non impedire una gravidanza che era stata progettata ancor prima della diagnosi di malattia, limiterebbe il senso di frustrazione per la mancata maternità soprattutto se, come spesso capita, gli anni fertili che rimangono a disposizione sono pochi.
Le richieste di una gravidanza anche in presenza di malattia sono sempre più frequenti, per vari motivi trattati in altre parti del testo. Tra questi soprattutto la maggiore incidenza di tumori in età giovanile, ma anche il fatto che l’attività lavorativa favorisce quasi di norma la programmazione di gravidanze tardive. Un aspetto meno considerato è quello relativo alla maggiore precarietà dei rapporti di coppia in cui elementi importanti come la malattia o la gravidanza. possono rafforzare ma anche indebolire il legame affettivo, senza quelle vie di compromesso sociale che nel passato erano più frequenti anche se raramente dichiarate.
Si sa che la malattia tumorale è un evento traumatico con potenziali capacità di influire su alcuni aspetti del carattere in senso negativo ma talora anche decisamente positivo laddove gli input della malattia favoriscono nuove progettazioni. Meno enfatizzato è il concetto che le reazioni psicologiche avvengono a catena, così che, ad esempio, la possibilità o la negazione di una gravidanza possono contribuire al risultato psicologico soprattutto se agiscono in una fase precoce.
In caso di tumore al seno, poter conservare la mammella o poterla ricostruire subito in caso di mastectomia ha un significato ben maggiore di quello estetico, perché contribuisce a dare una visione meno negativa della malattia. Lo stesso vale per altri aspetti della terapia, così che, per esempio, presentare la chemioterapia come una prassi normale di carattere preventivo e non curativo (in alcuni casi) riduce la demonizzazione dei suoi esiti talora invalidanti.
Tuttavia ciò che aiuta la donna non è solamente il miglioramento dell’aspetto esteriore, come nel caso di un tumore al seno, ma il concetto che bisogna prendersi cura di se stessi, che ha un significato taumaturgico molto importante ed è il miglior modo di guarire non solo nel corpo ma anche nello spirito.
Prendersi cura di se significa innanzitutto partire da se stesse, facendosi aiutare ma anche ricominciando, realizzando i propri desideri di maternità, accogliendo le conferme affettive, ma soprattutto incentivando le proprie scelte. Se la malattia determina sempre e comunque uno stato di ansia, tanto vale trasformare le ansie in ansie positive, in ansie sane rivolte al desiderio di realizzarsi come donna, di scoprire o riscoprire aspetti della propria femminilità fino ad allora dimenticati o trascurati. Se dopo un’esperienza di malattia la donna pensa che il proprio corpo l’abbia tradita, essa deve anche riflettere su quanto sia stata capace di vivere il proprio corpo. Può accadere che la donna si renda conto di aver giudicato male il suo corpo, almeno fino ad allora, di non aver avuto tempo per viverlo come avrebbe voluto o dovuto. L’esperienza di malattia potrebbe allora divenire non di crisi ma di passaggio da un ciclo vitale all’altro, in una visione quasi esistenziale in cui hanno molta importanza anche la cultura, gli ideali, la fede… e in cui l’investimento riguarda l’estetica e/o la fertilità ma anche la riscoperta dei piaceri in salute (cibi sani, senso di pulizia e di ordine, movimento), di stili di vita migliori (sorrisi, maggiore disponibilità, vestiti colorati), di piaceri più o meno sottili (sensazione di essere ammirate, interessi positivi degli altri nei propri confronti…) e di umore (piacersi un po’ di più, desiderio di agire per gli altri e di stare con gli altri), e forse anche un certo disinteresse per i sensi di colpa nei confronti della famiglia e della società.
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Guarire nello spirito può significare anche avere una diversa definizione della propria bellezza. In generale definire la bellezza è molto difficile e qualunque tentativo è destinato a fallire in partenza. Dürer, cercando di definire i canoni artistici della bellezza, conclude lapidariamente che cosa sia la bellezza non lo so. Il filosofo Vladimir Jankélévitch afferma che la bellezza è quel non so che, un’affermazione che ci fa intendere che la cosa c’è, ma non si sa che cosa sia (Fig. 3). La bellezza sembra dunque sfuggire ad ogni definizione e forse è proprio questo il bello della bellezza.
Secondo una concezione filosofica, la Bontà e la Bellezza rappresentano i due ideali da cui deriva l’etica sociale: dalla Bontà derivano tutti i valori della sfera emozionale, alla Bellezza compete il governo delle forme del pensiero. Mentre il concetto di Bontà è concreto e rimane abbastanza costante nel tempo, il concetto di Bellezza è ideale poiché proviene da una forma di pensiero che, come tale, può essere continuamente affermato e al tempo stesso rinnegato: un ideale fondato sulla soggettività, che non è possibile rendere oggettivo come lo sono un paesaggio o un fiore.
Confondere il bello con ciò che piace o con il gusto è come confondere il fantasticare con l’immaginazione. Il bello può essere fantasticato ma non può essere immaginato: confonderlo con ciò che piace è solo una comoda semplificazione pratica che non affronta il problema dal punto di vista sostanziale. Possiamo tutt’al più definire meglio alcuni aspetti trasversali della bellezza immaginata all’interno di diversi contesti.
Vi è innanzitutto un contesto personale, legato allo stato d’animo, anzi, più precisamente, a due diversi stati d’animo, uno superficiale ed uno interiore.
Con quello superficiale giudichiamo ciò è bello al di fuori di noi, come un spettacolo o un oggetto.
Con lo stato d’animo interiore giudichiamo ciò che è bello per noi (in quel momento) ma è un qualcosa che possiamo confessare solo a noi stessi. E’ una sensazione intima che non si può tradurre in una formulazione linguistica se non smarrendo in gran parte l’intensità di quello che proviamo. Cercare di definire una grande bellezza (o una grande felicità, o un grande amore) è sminuirla.
Non bisogna poi sottovalutare il contesto temporale. Un elemento oggettivo, come ad esempio uno scenario, è più o meno bello in base al momento in cui lo valutiamo. La bellezza è una cosa che capita (ma che può anche non capitare mai) e, come la felicità, indica brevi momenti. Una cosa è bella al pomeriggio, e cinque minuti dopo è insignificante. Qualunque cosa sia, la bellezza soggiace al tempo e all’occasione.
Vi è infine un contesto sociale. Sappiamo che la bellezza non può essere solo un fattore esteriore, che la vera bellezza viene dal di dentro e che a poco servono i ritocchi esteriori. Ma per la società è anche vero il contrario ed è per questo che sempre più persone ricorrono alla cosmesi, alla chirurgia estetica ed ad altre tecniche per apparire più belli, più in forma e così via. Quindi il problema sta nell’immagine distorta che la società (quindi, in ultima analisi, noi stessi, oppure, diciamo la società dominante) ci offre della bellezza e dei canoni estetici a cui un essere umano si deve adattare per poter essere considerato accettabile. Anche se non è vero che per essere belli bisogna essere necessariamente conformi alle richieste del mercato della bellezza, è comprensibile che bisogna adattarsi ad un mercato di cui tutti noi facciamo parte.
In questo contesto sociale gli uomini vedono la bellezza femminile come un simbolo di conquista, ma anche le donne accondiscendono a questa falsa immagine di se stesse, sforzandovi di aderirvi non solo con l’emulazione ma anche con la mentalità. Le donne accondiscendono all’immagine di se che l’uomo vuole avere, anche se alcune si rifiutano di mostrarsi così copre l’uomo le desidera, e voglio esprimere il diritto di scegliere anziché essere scelte, di diventare soggetto di desiderio anziché oggetto. Quest’ultimo atteggiamento, si sa comporta dei rischi. Abituato a ricercare nella donna l’immagine dei propri desideri, quando si accorge che tale immagine non trova più corrispondenza, l’uomo va in crisi, quando non cade nella paura e nell’angoscia.
E questo crea nelle donne ansia. Innanzitutto per la considerazione dell’aspetto fisico che si ritrovano ad avere: tutte ne seguono l’evoluzione nel tempo e generalmente poche ne sono soddisfatte. Poi per la competitività che vi può essere con le altre donne, talora amiche ma che possono pur sempre trasformarsi in nemiche e rivali. Anzi, i loro attributi vengono spessi valutati e confrontati con maggiore attenzione e crudeltà di quanto non faccia l’uomo perché è dal confronto che può dipendere la sopravvivenza o la sconfitta.
In definitiva, alcune donne vivono la propria sessualità attraverso lo sguardo e il giudizio del maschio e con l’età e con la malattia il corpo può non corrispondere più all’immagine desiderata.
Il seno, ad esempio, che dovrebbe concorrere a formare un’immagine di un tutto indivisibile, come il colore degli occhi, o il tono della voce, si può trasformare in una fonte di paura, vergogna, preoccupazione. Solo recuperando un’immagine di se stesse intera, che non esiste solo attraverso la sguardo e l’apprezzamento maschile, la donna potrà sentire il proprio corpo come una entità unica collegata alla mente e non come un simbolo sessuale su cui scaricare ansie e problemi5.
Ansie e problemi relativi al seno sono quindi comuni anche nella donne del tutto sane, spesso anche in quelle che si ritengono malate per la presenza di disturbi clinicamente trascurabili. Charles-Marie Gros, il fondatore della senologia contemporanea, scrive nel 19636: Le disarmonie, morfologiche, funzionali o soggettive, sembrano essere, per qualche donna, la malattia rifugio, la malattia espiatoria, la malattia occupazione. Qualche paziente, col pretesto di un banale disturbo mammario offre i suoi sintomi al medico per trovare un confidente: la proiezione sul seno non è che un episodio, una tappa, l’emergenza particolare di uno stato d’animo.
Altro motivo di preoccupazione sono le possibilità di miglioramento del proprio aspetto fisico, per lo più limitate, ma questa sembra avvenire a scapito di una maggiore valorizzazione del fascino, un valore aggiunto altrettanto importante (Fig. 4). Il fascino, quel sottile gioco di nascondi e vedi che oscilla tra la seduzione e la modestia, che spesso è mutevole ma che cattura… La saggezza popolare sostiene che la bellezza senza la grazia è come un amo senza l’esca. In maniera provocatoria Umberto Veronesi sostiene che ci sono ingiro troppi corpi e troppi pochi cervelli.
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La chirurgia ricostruttiva dopo mastectomia è ben diversa dalla chirurgia estetica in quanto è una chirurgia di necessità che deve riparare danni e carenze tessutali. I suoi risultati sono molto condizionati dall’importanza delle motivazioni e dalla intensità delle aspettative, oltre che collegati alle reazioni psicologiche soprattutto per quanto riguarda la concezione della malattia e le motivazioni della ricostruzione. Non tutte le donne, tuttavia, vogliono una ricostruzione: qualche volta per paura (ma raramente); qualche altra volta per una visione fatalistica; altre volte, è questo è un fenomeno culturale più recente, perché non ritengono che l’aspetto fisico sia essenziale per lo stare bene o per la vita emozionale; o anche perché non vogliono qualcosa di innaturale nel proprio corpo come le protesi al silicone.
Affrontare temi come il recupero della donna malata è complesso e deve essere affidato a personale dedicato. Nondimeno il chirurgo potrebbe aiutare la donna più di altri perché si trova ad agire in una fase precoce. Se riesce a relazionarsi con essa investendo in tempo e comunicazione, egli può non solo agire sul controllo delle paure, ma anche sui pregiudizi della paziente nei confronti delle cure successive all’intervento, delle possibilità ricostruttive, e in alcuni casi, anche di una gravidanza…
Il colloquio del chirurgo con la donna diviene quindi una tappa fondamentale della possibilità di adattamento alla malattia, all’intervento, alle sequele. Willy Pasini7: Il chirurgo, che per guarire usa il bisturi, pensa che la parola sia uno strumento accessorio (…) dopotutto questo è l’uso che lui fa della parola in sala operatoria. Da qui la difficoltà a capire che le parole servono anche ad altro. Io ho la lingua, egli ha il pugnale, diceva Rigoletto. Spesso usate per ferire, le parole dimostrano una straordinaria efficacia (…), esse hanno anzi un ruolo fondamentale nel definire il successo terapeutico.
Queste le fasi della comunicazione8. Innanzitutto liberare la donna dalle paure della malattia che possono totalmente occupare la mente ed alterare il senso di tutto il colloquio. Attenuare le paure consente una visione più realistica dei fatti, mentre saper riconoscere le paure inconfessate è utile specie quando la donna è incerta sulle decisioni.
In secondo luogo liberare la donna dai pregiudizi, come quello di sentirsi (in alcuni casi) troppo vecchia per affrontare interventi e cure, reazione che può esprimere un senso di scarsa autostima.
Infine, prendere delle decisioni in comune. In molti casi l’intesa è raggiunta modificando più volte i termini dell’informazione durante lo svolgimento del colloquio; in alcuni casi è difficile corrispondere subito alle aspettative del paziente e quindi è consigliabile proporre un ulteriore colloquio; occasionalmente è utile suggerire l’utilità del parere di un altro medico.
Di fronte a scelte difficili i familiari posso essere ottimi collaboratori, ma talora anche pessimi laddove, con atteggiamenti iperprotettivi, inducono alla rassegnazione o adducono pretesti come l’età o i rischi di complicanze, imponendo scelte loro che non corrispondono a quelle dell’interessata.
Se in molti casi le decisioni sono facili da prendere, con informazioni e corrispondenze soddisfacenti, in alcuni casi le interrelazioni sono complesse e le decisioni tra il medico e la donna vengono più o meno negoziate. In pochi casi le reazioni dei pazienti sono estreme, come risultato di un conflitto solo relativamente dipendente dai riferimenti culturali del paziente e dal comportamento del medico. Controproposte irrazionali della donna in situazioni complesse (malattia grave, rischi fetali, ricostruzioni impossibili…) trovano le loro radici in esigenze recondite che ricordano l’affermazione di Marguerite Yourcenar ne Le Memorie di Adriano: Non si comprende del tutto la malattia se non si coglie la sua singolare affinità con la guerra e con l’amore, non si riconoscono i suoi compromessi, le sue pretese, le sue necessità assolute mescolate nel bizzarro e unico amalgama di un temperamento e di un male9.
Per non parlare dei casi estremi dove talora possibilità terapeutiche efficaci sono rifiutate perché conferiscono alla malattia un marchio ben preciso ed appaiono piuttosto come una sospensione dalla morte. Allora risorge la credenza ancestrale nella magia, nel miracolo. L’uomo moderno ridà la mano ai suoi più lontani antenati e chiede a Dio, ai suoi santi, ai guaritori, ai ciarlatani, di liberarlo dalla morte. Così in un mondo moderno che si vuole governato dalla ragione, dalla logica, dalla scienza, il cancro ci riconduce, in quel che concerne la sua storia sociale, ad una natura umana dominata ancora da mal controllate pulsioni istintive ed arcaiche10.
In ogni caso, almeno per quanto riguarda l’aspetto estetico, non bisogna spingere troppo in una direzione, né puntare all’estrema perfezione anche perché questa è destinata a deludere o per lo meno a frustrare. L’importante è pensare con la propria testa ed imparare a discernere cosa è veramente importante e cosa è veramente bello per se stessi; solo così la propria vera bellezza uscirà allo scoperto (Fig. 5).
Essere se stessi, con tutti i pregi e difetti è il modo migliore di vivere, senza compromessi. Il medico può influire su questa visione solo relativamente, ma non per questo deve rinunciare alla sua partnership per una migliore qualità della vita. E soprattutto deve agire nelle prime fasi della malattia, the sooner the better11.
a.p.
Bibliografia
1 Yalom M. History of the Breast. New York, Knopf, 1997.
2 Gros D. Le Sein Devoilé. Paris, Stock/Parnaud, 1987.
3 Reaby LL. Reasons why women who have mastectomy decide to have or not to have breast reconstruction. Plast Reconstr Surg. 1998; 101: 1810-1818.
4 Andrikowsky MA, Curran SL, Studts JL et al. Psychosocial adjustment and quality of life in women with breast cancer and benign problems: a controlled comparison. J Cl Epidemiol. 1996; 49:827.
5 Greer G. The Whole Woman. New York, Knopf, 1999.
6 Gros Ch-M. Les Maladies du Sein. Paris, Masson, 1963.
7 Pasini W. La qualità dei sentimenti. Milano, Mondadori, 1991.
8 Pluchinotta AM. Breast reconstruction from a woman’s point of view. In: Oncoplastic and Reconstructive Surgery of the Breast. London, Taylor & Francis, 2004.
9 Pluchinotta AM. Il Seno In-cantato. Milano, Crocetti, 2005.
10 Imbault-Huart MJ. Histoire du cancer. In: Les maladies ont une histoire. Paris, Seuil, 1985.
11 Schain WS, Wellisch DK, Pasnau RO. et al. The sooner the better: a study of psychological factors in women undergoing immediate versus delayed breast reconstruction. Am J Psychiatry.1985;142:40-46.