Non vi è bisogno di conoscere i simbolismi del seno per analizzare una mammografia o una ecografia; inutile quanto essere informati sul suo contenuto culturale o sulle sue dimensioni emozionali per praticare una biopsia o una mastectomia. L’efficienza medica esige una ragione indifferente ai sentimenti ed alla metafisica ed i discorsi sull’immaginario o sull’emozione, per quanto rispettabili, non debbono intervenire come contrattempi a condizionare eccessivamente le scelte terapeutiche.
Nondimeno il gesto tecnico non è che una tappa dell’atto medico ed il seno non può essere considerato solamente una scatola di ormoni o una parte di carne adatta per essere radiografato e/o tagliato.
È uno spazio psicologico e culturale, un mondo a sé la cui comprensione fa appello alla psicologia e alla sociologia; almeno per quanto riguarda il significato culturale, alcuni buoni libri costituiscono un valido supporto conoscitivo e forse chiariscono un po’ di più dei testi di medicina.
Una donna che si presenta per una visita al seno, non desidera essere giudicata o accusata, ma ha bisogno di un medico disponibile a comprenderla ed aiutarla.
La medicina delle relazioni deve ritrovare le sue credenziali di nobiltà ed occorre evitare che la tecnica medica diventi uno strumento di separazione mentale tra il seno e la donna. Oltretutto, come scrive Charles-Marie Gros (1963), le disarmonie, morfologiche, funzionali o soggettive, sembrano essere, per qualche donna, la malattia rifugio, la malattia espiatoria, la malattia occupazione. Qualche paziente, col pretesto di un banale disturbo mammario offre i suoi sintomi al medico per trovare un confidente; la proiezione sul seno non è che un episodio, una tappa, l’emergenza di uno stato d’animo.
Una relazione personale che sia da contrappeso alla eccessiva socializzazione della medicina, una scienza destinata a perdere la sua anima, il cui spirito di umanità sembra in via di estinzione, respinto dalla dittatura amministrativa e dalla preoccupazione tecnica. Meccanicismo dei trattamenti, computo delle prestazioni, consulenze specialistiche in serie talora senza una mente responsabile, dilagare abusivo dell’arte per l’arte, attrazione incondizionata per uno spirito scientifico, o ritenuto tale, sembrano prendere il sopravvento sull’antico spirito taumaturgico.
Anche la medicina preventiva non assolve al nostro bisogno di sicurezza, quando tale sicurezza viene minacciata dalla preoccupazione eccessiva che se ne ha. E quanto sostiene N. Bonsaid in Les illusions de la prévention(1981): La medicina sfrutta la nostra paura di morire, e cerca di fornirci tutte le conoscenze necessarie allo scopo di farci rimanere sani. Ma per proteggerci dalla paura della morte, in realtà ci fa morire di paura. Il suo intento è nobile e tradisce l’ambizione della sfida intrapresa attraverso i secoli per eliminare la sofferenza e combattere la morte. Ma l’abuso di questa pratica rischia di trasformarsi in alibi per il medico; la prevenzione, elevata ad onnipotenza, (…) mentre da un lato tende ad eliminare i problemi che non riesce a risolvere, dall’altro scarica sul paziente stesso responsabilità e colpe.
Quanto più la medicina crede in sé stessa solamente come scienza, tanto più corre il rischio di non essere credibile. E noto come le razionalizzazioni estreme che rigettano gli elementi umanistici finiscono con il condurre alle credulità magiche e superstiziose. Solo una medicina a misura d’uomo che rifugge gli estremismi di un eccessivo tecnicismo, senza ricadere d’altra parte nelle fantasie ‘alternative’, può divenire veramente attendibile ed accettabile.