I rischi della terapia ormonale sostitutiva in menopausa sono un argomento di grande interesse che tuttavia rimane ancora difficile da inquadrare in termini applicabili a tutti i tipi di donne.
Innanzitutto prima di trarre delle conclusioni dai risultati degli studi clinici a disposizione bisogna tener conto di alcune condizioni che agiscono come ‘artefatti’ statistici’ e rendono variamente interpretabili i dati. Tra queste soprattutto il tipo costituzionale di mammella e le caratteristiche biologiche dell’indesiderato ospite.
Così, ad esempio, il tumore potrebbe essere presente prima della terapia, essere molto sensibile agli ormoni e quindi rendersi maggiormente visibile durante la terapia. In tal caso sembrerebbe generato dalla terapia mentre invece viene solo stimolato senza che peraltro comporti un rischio generale maggiore in quanto si tratta di un tumore ‘differenziato’, ossia ancora ‘ordinato’ in quanto mantiene alcune delle differenze dei tessuti normali. In questi casi si può sostenere addirittura che la terapia ormonale ha il vantaggio di anticipare la diagnosi di tumore e che comunque si tratta di tumori biologicamente più favorevoli.
Alla stessa maniera tumori che potrebbero essere presenti prima della terapia, non vengono identificati perché la terapia rende più dense le mammelle e quindi meno affidabili le mammografie. In tal caso la malattia si manifesta solo qualche tempo dopo la sospensione della terapia, allorché le mammelle diventano radiologicamente più trasparenti.
Purtroppo l’informazione, sempre in cerca di sensazionalismi, talora enfatizza alcuni aspetti che fanno notizia inducendo a considerazioni sbagliate in un campo in cui talora è difficile trarre delle conclusioni anche per gli stessi medici. E’ già successo in passato che alcuni studi che arrivavano a delle conclusioni -per così dire- ‘sorprendenti’ sono stati successivamente ridimensionati laddove sono state ritrovate irregolarità procedurali che, addirittura, ribaltavano i risultati.
E’ bene quindi fidarsi solamente di pubblicazioni scientificamente testate. Nei giorni scorsi una delle più prestigiose riviste scientifiche (New England Journal Medecine 2009: 360: 573-87) ha fatto sull’argomento una ponderata conclusione. Nei primi due anni di terapia ormonale sostitutiva combinata (in Italia viene chiamata TOS) non è stato rilevato alcun incremento del rischio di tumore mammario.
E’ stata dunque identificata una potenziale ‘finestra temporale’ sicura. Allo stesso tempo, è stato riscontrato un calo di tumori diagnosticati due anni dopo che la donna ha sospeso la terapia ormonale. In combinazione, questi dati suggeriscono la presenza di un intervallo di due-tre anni affinché la comparsa di tumori derivante dalla terapia ormonale sostitutiva diventi evidente, per attenuarsi successivamente a seguito della sua sospensione.
Ancora una volta la rivista ha posto in evidenza il possibile ‘artefatto’ che in alcuni casi la diagnosi possa essere stata anticipata (tumore già presente reso più evidente dagli ormoni), mentre in altri la diagnosi possa essere stata ritardata (tumore già presente ma reso invisibile dalla densità ghiandolare provocata dagli ormoni). Le conclusioni del non rischio per una terapia di due-tre anni sono comunque ragionevoli ai fini del controllo di una eventuale malattia senza peggioramento della prognosi.